LAMAR FIKE - 16/8/1977

DAL LIBRO "ELVIS AND THE MEMPHIS MAFIA":

Fu Joe a chiamare il Colonnello. Eravamo al Dunjey Sheraton di Protland, Maine. Mi ricorderò di quell’hotel, lo ricorderò finché campo. 
Ero rimasto sveglio tutta la notte, dopo aver preso il volo da Los Angeles ed ero sfinito. Salii al piano di sopra, impostai tutti i sistemi di sicurezza e le stanze per il tour. 
Poi scesi per fare colazione.
Dopodichè dissi a Tom Hullet e al Colonnello che sarei andato a stendermi sul letto per un paio d’ore. 
Mi ero appena messo a letto quando Tom bussò alla mia porta, dicendo: “Lamar, il Colonnello vuole vederti”. E io: “Digli che lo vedrò più tardi”. 
Al che Tom mi urlò: “Lamar, apri questa porta! Devi andare nella stanza del Colonnello e parlare con lui, subito!”.
Ricordo che quando entrai nella stanza del Colonnello, lo trovai seduto a lato del letto, mentre parlava con Joe al telefono. Tutti stavano a testa bassa e guardavano in terra.
Dissi: “Che diavolo sta succedendo qui?”.
Il Colonnello riagganciò il telefono, si alzò dal letto e venne verso di me, fermandosi a nemmeno un piede davanti a me. 
Disse: “Lamar, devi andare a Memphis e vedere Mr. Presley. Elvis è morto!”. Dissi “Sicuro?”. “E’ così’’.
A quel punto non riuscii a trattenermi dal dirgli: “Ti ci è voluto un po’, ma finalmente sei riuscito a portarlo alla tomba, vero?”.
Ero distrutto. Mi guardai intorno e dissi: “Ve l’avevo detto, ragazzi, ma nessuno mi ha voluto ascoltare!”.
Presi un aereo fuori Portland e sul volo c’erano tre giornalisti di televisioni importanti e avevano le telecamere. Ma io non volevo parlare con nessuno. 
Così l’assistente di volo, per tutto il viaggio di ritorno a Memphis, mi fece stare nella cabina.
Quando atterrai vidi che un paio di ragazzi erano venuti a prendermi per portarmi a casa. Non so proprio come descrivere quel momento. Ero talmente stordito. 
La morte di Elvis era come una sorta di campanello che suonava continuamente nelle mie orecchie. Un suono che per quasi tre anni non mi ha mai abbandonato. Ero sotto shock. Direi che era uno stato davvero opprimente! Mi ricomposi, ma…che brutta situazione!!
Guardai la bara e la prima cosa che mi venne in mente fu quanto inutile fosse stata quella morte. Era morto un uomo di 42 anni. Anche mio padre aveva 42 anni quando morì. Ci pensai molto, ma la morte di Elvis è stata più devastante che quella di mio padre.
Alcuni hanno scritto che il Colonnello si presentò al funerale vestito con una camicia hawaiana. Per Dio, non indossava una camicia hawaiana, bensì una camicia azzurra con maniche corte e un berretto da baseball. Il Colonnello non avrebbe indossato camicia e cravatta per nessuno al mondo.
Mentre Elvis era ancora nella bara a Graceland, il Colonnello concluse una trattativa con Vernon relativa a tutto ciò che riguardava il merchandising e i souvenirs. 
Il Colonnello ricevette un sacco di critiche per questo e soprattutto per averlo fatto a sole 48 ore dalla morte di Elvis. La gente pensa che sia stata una cosa terribile. Invece, grazie a Dio, il Colonnello facendo così, è stato colui che ha fatto in modo che il patrimonio sia quello che è oggi.
Il Colonnello ha sempre detto: “Elvis non è morto. Quello che non c’è più è solo il suo corpo”.