LARRY GELLER - 16/8/1977

DA UN'INTERVISTA:

Il 16 agosto 1977 rimarrà per sempre impresso nel mio cuore e nella mia mente.
Alle prime ore di quella mattina, mi trovavo al piano di sotto di Graceland, quando Elvis mi chiamò al telefono dalla sua camera. Era appena arrivato a casa dopo essere andato dal dentista. Non stava bene ed era salito subito di sopra. 
La cosa divertente è che, da quando l’avevo conosciuto nel 1964, al telefono non mi era mai capitato di sentire la sua voce così dolce, così melodica e così giovane, come in quella chiamata. 
Per come l’avevo visto, appena arrivato, mi sentivo in ansia per la sua salute, ma il suo tono di voce e il modo di fare mi fecero sentire molto meglio.
Elvis mi chiese di salire perché dovevamo parlare. Era tardi e aveva bisogno di riposare. Così gli suggerii di riposare, tanto durante il tour avremmo avuto molto tempo a disposizione per parlare. 
Gli dissi che il giorno dopo gli avrei portato gli altri nuovi libri che mi aveva chiesto. Fu una conversazione molto piacevole, in cui ridemmo parecchio, fino a che non arrivò il momento di darci la buonanotte. 
L’ultima cosa che Elvis mi disse fu: “Larry, ricordati, gli angeli volano perché così si dirigono verso la luce”.
Qualche minuto dopo essere entrato nella mia camera all’Howard Johnson, che si trovava in fondo alla strada, Elvis mi chiamò di nuovo.
Aveva cambiato idea e voleva i libri subito. Così mandò uno dei ragazzi a prenderli, risparmiandomi di uscire di nuovo. 
Il pomeriggio del giorno dopo, quando Elvis fu trovato riverso sul pavimento, teneva stretto al petto il libro che gli avevo mandato, il cui titolo era “The Scientific Search For The Face Of Jesus, concerning what's known as The Holy Shroud” (La ricerca scientifica del viso di Gesù, riguardo a quanto si conosce della Sacra Sindone). 

DAL LIBRO "LEAVES OF ELVIS' GARDEN":

L’unico suono che sento è un martellante “ba-bam, ba-bam” contrapposto a “click-clack-, click-clack” come se qualcuno avesse alzato il volume di un basso. 
Ora si può sentire la bellezza della canzone, della melodia, delle parole. Ma ora so dove si trovano: stanno aspettando nel freddo silenzio di quella stanza, alla fine di quel corridoio buio, sotto un lenzuolo bianco che copre quanto di terreno rimane di Elvis Presley. 
Sulle pareti si sente il rimbombo dei passi nel lungo corridoio, del battito arrabbiato del mio cuore e dei miei passi pesanti, mentre vado a prepararlo per la sua ultima apparizione. 
Tutto quello che posso vedere è il corpo senza vita di Elvis che giace su un tavolo coperto dal lenzuolo. Lentamente mi avvicino a lui, il mio sguardo è fisso su di lui e mi sento travolgere da un’ondata di emozioni caotiche. 
Immediatamente mi sento stordito e devo afferrare il tavolo per tenermi in equilibrio. 
La realtà della sua presenza senza vita mi obbliga ad accettare l’inevitabile e ancora… com’è possibile… e il mio battito cardiaco diventa sempre più forte.
Il suo naso aquilino perfetto, quelle famose labbra carnose – il viso di un Adone – l’innaturale immobilità della sua faccia, mi fanno ricordare l’inimmaginabile: che la sua voce non canterà più. 
Ora, amico mio, hai attraversato i cancelli dell’immortalità dell’anima, il cui segreto è conservato solo dalla morte stessa. Non è possibile! Non è successo! Non può essere vero! Voglio urlare: “Apri i tuoi occhi Elvis. Siediti, fai una smorfia, guardami e dimmi che questo è uno dei tuoi scherzi e che tornerai a Graceland. Dai, ragazzo, ti prego!”.
Silenzio.
Il mio cuore è invaso da un dolore insopportabile, ma non ha importanza. Devo comunque preparare i capelli di Elvis. Mentre faccio quanto Vernon mi ha chiesto, faccio del mio meglio per apparire calmo e professionale.
Non riesco a credere quanto tempo ci ho messo per fare i suoi capelli. Avevo lavorato così tante volte sulla sua testa, ma questa volta era diverso. 
Alla fine il mio lavoro è terminato, ma non riesco a lasciarlo. Non ci sono parole per descrivere le emozioni e i ricordi che mi attraversano la testa e il cuore. 
Guardo di nuovo Elvis e scruto il suo viso, sereno e quasi beato e una calma mi avvolge. Sento un silenziosa presenza nella stanza, come se fosse lì a rassicurarmi che sta bene adesso. E’ a casa!