LOANNE PARKER - 16/8/1977

Il giorno in cui Elvis morì, il Colonnello e la sua squadra erano a Portland, in attesa dell’arrivo di Elvis. 
Io ero nella mia stanza e facevo qualche lavoretto. 
Il Colonnello era nella sua stanza. Normalmente avevamo una suite e usavamo la sala da pranzo come ufficio temporaneo. Dopo aver bussato, il Colonnello entrò nella mia stanza e vidi che era stravolto e disse: “Ci sono brutte notizie. Ho ricevuto una telefonata e mi hanno detto che non sono sicuri che Elvis sopravvivrà. Ti terrò informata” e poi tornò nel suo ufficio. 
Naturalmente io ero scioccata, perché, a dire la verità, non avremmo mai pensato che Elvis potesse morire. Per noi, era diventato quasi più grande della vita e lui stesso pensava di essere capace di gestire ogni cosa. Guardandosi indietro, voi potreste anche dire che da parte nostra non era una cosa intelligente da pensare, ma voi avreste dovuto essere là, avreste dovuto sentire l’impatto emozionale che si sentiva nei tours. Avreste capito che ogni momento era legato a quello di cui Elvis aveva bisogno e a quanto noi dovevamo fare per lui. 
Io non ero così coinvolta personalmente con le sue attività personali, almeno non quanto tutto lo staff, ma dal punto di vista professionale lui occupava costantemente le nostre menti. 
Improvvisamente pensare che se n’era andato era inconcepibile, non riuscivi a crederci. 
Poi il Colonnello tornò e disse: “Se n’è andato. Ho parlato con Joe e con Vernon. Ora la più grande preoccupazione è Vernon. Non so se ce la farà, perché si sa che la sua salute non è buona. E’ talmente distrutto. Non so cosa potrebbe capitargli”. E così fu. 
Una delle cene peggiori che io abbia vissuto fu quella del giorno in cui Elvis morì. 
Il Colonnello disse allo staff presente: “Andremo al ristorante e ceneremo. Mangeremo, senza la faccia triste. Non dovete essere depressi, nessuno dovrà sedersi e piangere. Faremo questo per Elvis. Al ristorante tutti ci guarderanno e lui deve essere orgoglioso di noi. Nessuno dovrà mangiare troppo e dovremo lasciare del cibo sul piatto e comunque dobbiamo mantenere l’apparenza di una situazione normale”. 
E così fu, perché tutti guardavano al nostro tavolo. 
Molti chiesero di potersi andare a comprare qualche vestito perché avevamo solo i vestiti da usare nel tour, che consistevano in un abbigliamento pratico da indossare.
Ma credo fosse Tom Hullet che disse: “Colonnello ho bisogno di un abito, perché non ne ho uno qui e non me la sento di andare al funerale con le cose che uso in tour”.
Allora il Colonnello rispose: “Tom quei vestiti andavano bene per noi per lavorare per Elvis e vanno bene anche per essere indossati al funerale. Lui capirà. Se mi vedesse con un abito elegante non mi riconoscerebbe”.
Per questo andammo al funerale con vestiti normali, da lavoro. Io indossavo un paio calzoni, niente di più.
Il giorno dopo la morte di Elvis, sul volo diretto a Memphis, con un aereo noleggiato, c’erano anche Jerry Weintraub, Pat Kelaher, Tom Hewlett e suo nipote, George Parkhill ed io.
Eravamo tutti distrutti e il Colonnello ci fece un breve discorso (scusate se piango ma è dura ricordare) e disse: “Se n’è andato, ma noi lavoriamo ancora per lui. Ci saranno sempre Elvis e il Colonnello, fino alla mia morte. Lui ci sarà sempre per me!”.E poi aggiunse “Facciamo in modo che sia orgoglioso di noi. Quando scenderemo dall’aereo, non voglio scene. Non voglio che nessuno crolli e si faccia prendere dalle emozioni. Per rispetto a lui, voglio che facciamo il nostro lavoro, gli porgiamo il nostro omaggio e lo facciamo sentire fiero di noi”.
Spesso mi chiedono se il Colonnello lavorò con Vernon dopo la morte di Elvis e io vi dico che fu Vernon a chiedere al Colonnello di rimanere ed aiutarlo.
Penso che la testa del Colonnello sia stata concentrata su Elvis per talmente tanto tempo, che non poteva rifiutare una cosa simile. 
Lui pensava ad Elvis in continuazione e così non si è mai fermato ed ha continuato a lavorare per lui, a modo suo fino al giorno della sua morte. 
Il concetto più sbagliato è che il Colonnello abbia truffato Elvis, che gli abbia fatto fare cose che non voleva fare e che lo abbia gestito male. Tutto questo non è vero. 
Il Colonnello viveva per Elvis. 
Non si è mai preso una vacanza perché pensava: “Non potrei godermela di più di quanto mi godo adesso. Io lavoro per Elvis”.