ELVIS PRESLEY - 16 AGOSTO 1977

Il 15 Agosto 1977, Elvis Presley riposa fino alle 16.00.
Verso le ore 19.00 manda a chiamare suo cugino Billy Smith, dicendogli che vorrebbe vedere il nuovo film sul Generale Mac Arthur, interpretato da Gregory Peck, ma non è possibile, perchè la sala cinematografica non ha a disposizione una copia da dargli. A quel punto, decide di guardare un po' di televisione.
Nella sua mente ci sono pensieri per il nuovo tour che sta per iniziare dal 17 Agosto e, tra questi, anche il fatto di non sapere se Ginger Alden sarebbe partita da subito insieme a lui.
Alle 22.30 ha appuntamento con il dentista, il dottor Hoffman, per una pulizia e la cura di un paio di carie.
Aiutato da suo cugino Billy, si mette la tuta nera della DEA ed un paio di stivali di vernice nera, che, però, non riesce ad allacciare completamente per quanto sono gonfie le sue caviglie.
Insieme a Ginger, Elvis va dal dentista, che si occupa dei suoi denti e fa una visita di controllo anche alla ragazza. Elvis invita il dottore a fargli visita, insieme a sua moglie, per vedere la sua nuova Ferrari, ed il dottore gli chiede se, un giorno, lo può accompagnare in California a trovare sua figlia.
Elvis accetta volentieri e propone di fare una sorpresa sia alla figlia del dottore che a Lisa Marie, dopo la fine del tour, arrivando all'ora di pranzo.
Le otturazioni praticate del dottor Hoffman non gli danno fastidio, ma, per precauzione Elvis pensa che prenderà ugualmente un paio di pastiglie di codeina.
Arriva casa a mezzanotte e mezza del 16 Agosto 1977 e, senza vedere nessuno, sale in camera sua. Parla al telefono con Joe Esposito per le ultime cose inerenti il nuovo tour e poi chiede a Sam Thompson di portare Lisa Marie a casa in aereo, con un volo di prima classe, il giorno successivo, in tardo pomeriggio.
ULTIMA FOTO SCATTATA AD ELVIS PRESLEY



Avendo saputo che Larry Geller aveva portato dei nuovi libri da fargli leggere, decide di farlo chiamare da Al Strada per poterli vedere subito e Larry Geller, nel consegnare i libri per Elvis, fa in modo di mettere la copia di "A Scientific Research for the Face Of Jesus" sopra agli altri, in modo che Elvis la veda subito.
Verso le 2.15 Elvis inizia a lamentare dolore ai denti otturati, così chiama il dottor Nick per avere del Dilaudid. Il medico gli prepara la ricetta e Ricky Stanley va ad acquistare il farmaco alla farmacia notturna del Baptist Memorial Hospital.
Verso le 4/4.15, Elvis chiama suo cugino Billy, che era già andato a dormire, per chiedergli se lui e sua moglie Jo avevano voglia di fare una partita a racquetball con lui e Ginger Alden. I due, malgrado fossero già a letto, decidono di accontentare Elvis e vanno a Graceland.
Giocano per un po', ma poi, più che racquetball, diventa un gioco in cui Elvis tenta di colpire suo cugino, finchè non si fa male da solo, colpendosi con la racchetta sullo stinco. Mentre Elvis dice che lo stinco gli fa davvero male, Billy, scherzando, cita uno dei proverbi preferiti di Elvis, dicendo: "Dove non c'è sangue, non c'è dolore". A quel punto si mettono tutti a ridere!
Nella sala interna alla costruzione per il racquetball c'è un pianoforte, ed Elvis si siede a suonare qualche canzone, tra cui la bellissima "Blue Eyes Crying In The Rain"
Questa è l'ultima canzone cantata da Elvis Presley davanti a delle persone.



Arrivato a casa, si lava i capelli e dà un'occhiata al libro sulla sindone, avuto da Larry Geller.
Parla un po' con Billy di varie cose: il pensiero del libro "Elvis What Happened?" pubblicato da un paio di settimane lo tormenta, tanto da avere sete di vendetta nei confronti dei cugini West, ma poi inizia a parlare del fatto che il prossimo tour sarà il migliore mai fatto fino ad allora. Quest'ultimo pensiero era molto ricorrente nell'ultimo periodo.
A quel punto arriva Ricky Stanley con la prima razione di medicine prescritte dal dottor Nick, che avevano lo scopo di riuscire a farlo dormire per molte ore di seguito.
I medicinali che deve assumere sono Seconal, Placidyl, Tuinal, Valmid e Demerol.

Dopo un paio d'ore dall'assunzione, Elvis è ancora sveglio e Ricky Stanley, come deciso sempre dal dottor Nick, gli porta la seconda razione di farmaci. Quando arriva il momento di prendere la terza dose di medicinali, Ricky Stanley non si presenta, così Elvis è costretto a far cercare Tish Henley, infermiera del dottor Nick, da sua zia Delta nello studio del medico.
L'infermiera incarica suo marito di far avere le medicine - due compresse di Valmid e una di Placidyl - ad Elvis a Graceland. Avute le medicine da sua zia, Elvis la informa che sarebbe rimasto a riposare fino alle 19.00 e dice a Ginger che sarebbe andato in bagno a leggere.
Passa qualche ora ed arrivano le 13.30 del pomeriggio.
Ginger Alden si sveglia, chiama sua madre, si lava, si trucca, dopodichè, vedendo che Elvis non è tornato a letto, decide di andare a bussare alla porta del bagno, ma non riceve nessuna risposta.

A quel punto decide di aprire la porta ed entrare. 
Appena aperta la porta, si trova davanti Elvis, caduto a terra, privo di sensi, sul tappeto di lana, e con il viso nel suo stesso vomito.
Spaventata, chiama subito al piano di sotto affinchè qualcuno salga ad aiutarla.
Al Strada sale immediatamente e subito dopo arriva anche Joe Esposito, il quale inizia una respirazione artificiale nella speranza di rianimare Elvis. Nel giro di un attimo arrivano anche Vernon Presley, che supplica il figlio di non morire; e la piccola Lisa Marie, che chiede cosa sta succedendo al suo papà ed alla quale si cerca di impedire di vedere quello che sta succedendo per non spaventarla. La porta del bagno viene chiusa, ma Lisa Marie cerca di accedere da una porta secondaria.
Chi è presente in quel momento, ha già capito che, purtroppo, non c'è molto da fare: il viso di Elvis Presley è ormai violaceo e gonfio, la lingua è biancastra e gli occhi sono iniettati di sangue.
Nel frattempo era stata chiamata l'ambulanza ed i due paramedici rimangono allibiti da quello che si trovano davanti: oltre una decina di persone, radunate intorno ad un corpo dal volto irriconoscibile, che li pregano di salvarlo a tutti i costi.
Quando caricano Elvis sulla barella per il trasporto in ospedale, i segni vitali non ci sono già più. Sull'ambulanza salgono Al Strada, Joe Esposito ed il dottor Nick, arrivato appena in tempo. 

Quest'ultimo in particolare, durante i minuti di strada da Graceland all'ospedale, non fa altro che dire ad Elvis di respirare, di non mollare! Chi lo ha visto, dice che aveva l'espressione di qualcuno per cui la possibile morte di Elvis Presley era un evento inimmaginabile.
Sono passati 25 minuti dalla chiamata all'ambulanza quando arrivano in ospedale alle ore 14.55.
Ci sono già i medici pronti in sala rianimazione per fare tutto il possibile per salvarlo, ma alle 15.30 esce dalla sala il dottor Nick, con un'espressione sul volto più eloquente di qualsiasi parola avrebbe potuto dire. 

Ma è costretto a parlare e dice semplicemente: "E' finita. E' morto".
E' IL 16 AGOSTO 1977 ED ELVIS PRESLEY MUORE PER ATTACCO CARDIACO.

CLICCA E LEGGI: IL DR. DEVANE HA TENTATO DI RIANIMARE ELVIS AL PRONTO SOCCORSO!

L'autopsia inizia alle ore 19.00. La morte viene annunciata mentre l'autopsia è in corso. Il coroner dichiara Elvis Presley morto per aritmia cardiaca, che significa semplicemente che il cuore ha smesso di battere, ma non dice perchè.
Nell'arco di poche ore la notizia fa il giro del mondo e, mentre la notizia si diffonde sempre di più, tutte le radio nel mondo iniziano a suonare le sue canzoni, in uno stato di shock generale.
In Europa, due stazioni radiofoniche cambiarono totalmente il loro palinsesto per dare spazio alla notizia della morte di Elvis ed alla sua musica per molte ore.
In particolare, Radio Luxembourg, la radio più ascoltata di musica pop, ha dato la notizia per prima. 
Bob Moore Merlis, dirigente della Warner Bros Records, ha detto: "Questa è la fine del rock'n'roll". 
"Non si può nemmeno immaginare il vuoto che lascerà" ha detto Pat Boone.

Il giorno dopo, il 17 Agosto 1977, i cancelli di Graceland vengono aperti affinchè i fans possano rendere omaggio ad Elvis Presley, dandogli l'ultimo saluto. Il suo corpo senza vita viene esposto all'ingresso.
Si stimano che le persone accorse, dall'apertura dei cancelli fino alla chiusura alle ore 18.30, siano state 80.000, provenienti da ogni parte degli Stati Uniti e del mondo.
Molti, purtroppo, arrivano troppo tardi e non possono entrare.
Il timore più grande per le forze di Polizia sono eventuali disordini, ma non succede niente, a parte svenimenti di alcune persone a causa del troppo caldo, dell'attesa sotto il sole e della ressa di gente.





Nel corso degli anni, è risultato che milioni di persone, anche a distanza di molto tempo, si ricordano benissimo dove fossero e cosa stessero facendo nel momento in cui hanno saputo della morte di Elvis Presley.

In questi video è possibile vedere cosa è successo nei dintorni di Graceland subito dopo la morte di Elvis Presley e nelle ore successive.





LA FAMIGLIA E GLI AMICI RACCONTANO IL GIORNO DELLA MORTE DI ELVIS PRESLEY:

PRISCILLA PRESLEY - DAL LIBRO "ELVIS AND ME":
Era il 16 Agosto 1977, una giornata nuvolosa e scura, non una tipica giornata del sud della California. 
Quando uscii nell’aria c’era una tranquillità, una calma innaturale.
Quella mattina avevo un appuntamento e verso mezzogiorno dovevo incontrare mia sorella Michelle. 
Appena entrai in Melmose Avenue, vidi Michelle all’angolo, con uno sguardo preoccupato. 
“Cilla” mi disse appena mi fermai, “ho appena ricevuto una telefonata da papà. Joe sta cercando di rintracciarti. E’ successo qualcosa ad Elvis. E’ in ospedale”.
Se mi stava cercando, doveva essere successo qualcosa di grave.
Dissi a Michelle di prendere la sua macchina e seguirmi fino a casa. Feci un’inversione a U in mezzo alla strada e guidai come una matta.
Elvis era entrato e uscito dall’ospedale durante tutto l’anno. C’erano volte in cui non stava veramente male, ma lo faceva per riposarsi un pochino, per stare lontano dallo stress e, forse, anche dalla noia. Non era mai successo niente di veramente preoccupante. 
Pensai a nostra figlia, Lisa, che era a Graceland con Elvis e sarebbe dovuta tornare quel giorno.
"Dio mio" pregai "fa che sia tutto a posto. Fa' che non gli sia successo niente, ti prego, buon Dio".
Finalmente arrivai a casa e, mentre stavo entrando in garage, casa sentii il telefono che squillava dentro in casa.
"Ti prego non riattaccare" pregavo, saltando fuori dalla macchina e correndo verso la porta. 
"Sto arrivando!" gridavo. 
Cercavo di inserire la chiave nella serratura, ma la mia mano non smetteva di tremare. Finalmente entrai in casa, alzai il telefono e urlai: "Pronto, Pronto!".
Tutto quello che sentivo era l’eco di una telefonata che arrivava da lontano, poi improvvisamente una voce tremante e bassa, fioca, che disse: "Cilla, sono Joe".
"Joe, cosa è successo?"
"Si tratta di Elvis".
"Oh Dio mio. Non dirmelo…".
"Cilla, è morto!".
"Joe, non dirmi una cosa del genere. Ti prego!".
"L’abbiamo perso!".
"No. No!". 
Lo pregai di rimangiarsi tutto. Invece rimase in silenzio.
"L’abbiamo perso…"
La sua voce si ruppe ed entrambi cominciammo a piangere.
"Joe, dov’è Lisa?" domandai. 
"Sta bene. E’ con la nonna". 
"Grazie a Dio. Joe manda un aereo a prendermi, per favore. Subito, voglio tornare a casa".
Dopo pochi minuti il telefono squillò nuovamente. 
Per un attimo pensai ad un miracolo: mi stavano chiamando per dirmi che Elvis era ancora vivo, che stava bene e che tutto era stato un brutto sogno. 
Ma non c’era nessun miracolo: "Mamma, mamma" diceva Lisa "E’ successo qualcosa a papà".
"Lo so, piccola mia", sussurrai. "Arrivo subito. Sto aspettando l’aereo". 
"Mamma, stanno tutti piangendo".
Mi sentivo esausta, disorientata. Cosa potevo dirle? Non riuscivo a trovare le parole per consolarla. Lisa non sapeva ancora che suo padre era morto. Tutto quello che riuscivo a dire in continuazione era che sarei arrivata presto. 
"Cerca di rimanere nella stanza della nonna, lontana da tutti".
In lontananza sentivo la voce di Vernon che, disperato, singhiozzava, dicendo: "Mio figlio se n’è andato! Mio Dio, ho perso mio figlio".
Mi chiusi in camera mia, facendo sapere che non volevo parlare con nessuno e volevo rimanere sola. Volevo morire!
Negli ultimi anni eravamo diventati ottimi amici, ammettendo i nostri errori del passato e avevamo iniziato quasi a ridere dei nostri difetti. 
Non riuscivo ad affrontare la realtà, il fatto che non l’avrei mai più visto vivo. 
Lui c’era sempre stato per me. Avevamo un legame profondo. 
Eravamo diventati molto uniti, ci capivamo di più e avevamo più pazienza l'uno con l’altro, più di quando eravamo sposati. 
Avevamo persino parlato che un giorno… Ed ora se n’era andato!
Ricordo la nostra ultima telefonata, qualche giorno prima. Era di buon umore e parlava del suo tour di 12 giorni che sarebbe dovuto iniziare a breve.
Se solo avessi saputo che sarebbe stata l’ultima volta, gli avrei parlato, gli avrei detto tante cose, cose che volevo dirgli e che non avevo mai fatto, cose che avevo tenuto dentro di me per tanti anni, perché pensavo che non fosse mai il momento giusto per dirle.
Le ore passarono lentamente prima che arrivasse il "Lisa Marie".
Dietro le porte chiuse stavo seduta e aspettavo, ricordando la nostra vita insieme con le sue gioie, i dolori, la tristezza e i trionfi. 
Ci imbarcammo sul ‘Lisa Marie’ verso le 21 di quella stessa sera: i miei genitori, Michelle, Jerry Schilling, Joan Esposito e alcuni amici stretti. All’inizio mi sedetti da sola, in disparte. Poi andai in fondo all’aereo, nella camera da letto di Elvis. Mi distesi, incapace di credere che Elvis fosse morto veramente.
Appena arrivammo a Memphis, ero completamente intontita. 
La maggior parte della famiglia di Elvis – Vernon, la nonna, le sue figlie Delta e Nash ed altri – erano riuniti nella stanza della nonna; mentre i suoi amici e i ragazzi che avevano lavorato con lui, erano quasi tutti nel soggiorno. 
Lisa era fuori in giardino con un’amica e correva con il carrello da golf che suo padre le aveva regalato. All'inizio rimasi affascinata nel vedere come fosse capace di giocare in un momento così, ma quando parlai con lei, capii che ancora non si era resa conto della gravità di quanto era successo. 
Lisa aveva visto l’ambulanza che portava via suo padre e, in quel momento, per lei Elvis era ancora all'ospedale, perciò era confusa.
"E vero?" mi chiese "E’ vero che mio papà se n’è andato veramente per sempre?".
Ancora una volta rimasi senza parole. Era la nostra bambina: era già difficile per me trovare conforto per la morte di Elvis ed ora non sapevo come dirle che non l’avrebbe visto mai più.
Feci cenno di sì con la testa e la presi tra le mie braccia. Ci abbracciammo e poi lei corse via e riprese a correre con il carrello da golf. 
Ora comprendo che era il suo modo per non affrontare la realtà.
La notte sembrava interminabile. 
C’erano così tante domande in sospeso. Elvis era stato praticamente lasciato solo per tutto quel tempo. 
Improvvisamente sentii che volevo stare sola.
Salii al piano di sopra, nella stanza privata di Elvis, dove avevamo trascorso molto tempo della nostra vita insieme.
Le stanze erano più in ordine di quanto mi aspettassi. Molti dei suoi oggetti personali non c'erano più. Sul suo comodino non c’erano libri. Andai nella stanza in cui teneva tutti i suoi vestiti ed era come se sentissi la sua reale  presenza – il suo profumo unico inondava la stanza. Fu una sensazione misteriosa, soprannaturale. 
Dalla finestra del soggiorno potevo vedere migliaia di persone ferme sull’Elvis Presley Boulevard in attesa che il carro funebre riportasse il suo corpo a Graceland. 
La sua musica riempiva l’aria tramite le radio di tutto il paese che davano il loro tributo al Re. 
La bara venne messa nell'ingresso e aperta per poter vedere il corpo di Elvis.
Aspettavo arrivasse il momento giusto per me e per Lisa per dirgli addio. E' stato in tarda serata ed Elvis era già stato spostato nel soggiorno, la stanza in cui avrebbe avuto luogo il funerale.
C'era tranquillità, tutti se n'erano andati.
Insieme siamo state vicino a lui. "Sembri così tranquillo, così riposato. So che troverai la felicità e tutte le risposte là".
Lisa prese la mia mano ed insieme gli abbiamo messo un braccialetto al polso destro.
"Ci mancherai". 
Sapevo che la mia vita non sarebbe più stata la stessa.

LISA MARIE PRESLEY – LIBRO "ELVIS BY THE PRESLEYS":
Non amo parlare di questo. Erano le 4.00 del mattino del 16 Agosto. Avrei dovuto essere già a dormire, ma lui mi vide e mi disse di andare a letto.
Io dissi “Okay” e mi baciò per darmi la buonanotte, così poi me ne andai in camera mia. Poi lui arrivò e mi diede un altro bacio per augurarmi la buona notte. Quella fu l’ultima volta che lo vidi vivo. 
Oggi per me è difficile stare nello stesso posto dove c’è stato mio padre. 

LISA MARIE PRESLEY - INTERVISTA CON LARRY KING - 2003:
E' stato un momento molto particolare, specialmente passando attraverso le diverse fasi di ciò che è successo. C'erano moltissime persone in lutto davanti a me. Persone che svenivano, che si trascinavano. E ricordo che guardavo la bara che era lì, e alla quale passavano davanti. Ricordo che non sapevo cosa fare, perchè ero ancora piccola e non potevo fare da sola. E' stato uno shock.
Non hai avuto il tempo per disperarti?
LISA MARIE: Non in quel momento. Era una situazione pesante. Ero praticamente sotto shock e tutto successe così velocemente...

VERNON PRESLEY - INTERVISTA 1978:
Ci sono così tante domande sulla morte di Elvis, per le quali devo trovare una risposta. Quanto tempo è rimasto sul pavimento prima che venisse scoperto il suo corpo? Perché qualcuno a Graceland non si è chiesto dove lui fosse e se stesse bene? Queste sono due domande alle quali voglio risposte.
So che non era capace di dormire la notte prima di morire, ed aveva giocato a racquet ball fino alle 4 o alle 5 del mattino. Poi cosa è successo? Voglio saperlo!
Joe Esposito, uno del gruppo di Elvis, era con me in ufficio, quando gli arrivò una chiamata dalla casa e mi disse che doveva andare subito. Io andai avanti con il lavoro che stavo facendo, finchè il telefono suonò nuovamente e Patsy, la nostra segretaria, rispose. “E’ Joe” disse. “Sembra strano”. Presi il telefono e Joe mi disse: “Signor Presley, venga subito. Elvis non respira”. Da qualche tempo non stavo bene, così Patsy ha dovuto accompagnarmi fino alla casa. Non appena vidi Elvis, capii subito che era morto.
Il mio cuore è più spezzato di quanto riesca a dire per la morte di Elvis, eppure sono confortato dalla sicurezza del fatto che mio figlio è stato un dono di Dio e la sua vita è sempre stata nella mani del Signore. Da un certo punto di vista, avrei desiderato che vivesse per sempre, sebbene sappia che la sua morte prematura, come tutta la sua vita, è parte del disegno di Dio. 
Ringrazio Dio per avermi benedetto con il dono di un figlio come lui.

VERNON PRESLEY - INTERVISTA 20 AGOSTO 1977:
L'anziano Presley ha poi parlato dell'ultimo giorno di suo figlio.
Ha detto che sua sorella, la signora Biggs, ha portato ad Elvis un po' d'acqua ed il giornale del mattino, mentre si rilassava nella sua stanza alle ore 8.30 di Martedì.
"Mi disse che aveva intenzione di alzarsi quella sera e partire verso le 23.30 o mezzanotte per il tour" che avrebbe dovuto iniziare a Portland, nel Maine, Mercoledì sera, ha detto la signora Biggs Venerdì.
"Lui era felice e girava per la stanza parlando dell'imminente tour. Era di buonissimo umore".
Il padre di Elvis ha detto che  lui ed il road manager, Joe Esposito, erano nell'ufficio dietro alla villa a discutere del tour quella mattina. Ha detto che Esposito è poi entrato in casa.
"Joe mi chiamò tra le 14.15 e le 14.30, credo, e mi disse di andare al piano di sopra perchè stava succedendo qualcosa" ha detto Presley.
"Andai al piano di sopra ed abbiamo iniziato a fare la respirazione bocca a bocca ad Elvis, ma ho pensato che fosse troppo tardi. Guardai Elvis e mi resi conto che, probabilmente, era una situazione senza scampo, ma era così difficile accettare che fosse successo".
Poco più tardi, un'ambulanza portò di corsa il cantante al Baptist Hospital, dove venne dichiarato morto alle 15.30 del pomeriggio.
Era Lunedì era, meno di 24 ore prima, il momento in cui Elvis disse le sue ultime parole a suo padre. "Dissi ad Elvis: 'Penso che verrò con te per questo tour' ed Elvis disse 'Ottimo. Più siamo, meglio è".

JOE ESPOSITO - DALL'INTERVISTA CON LARRY KING 2002:
Elvis è morto il 16 Agosto 1977. Dov’eri tu quel giorno?
Ero a casa sua, a Graceland. Ci stavamo preparando per partire per il nuovo tour.
Stava bene quel giorno?
Parlai con lui la notte precedente. Stava bene. Gli chiesi se aveva bisogno di qualcosa.
Per dove stavate partendo?
Ci stavamo recando a Portland, nel Maine. Dovevamo partire alle 19.00 di quel giorno e avremmo fatto lo spettacoloil giorno seguente.
Aveva un jet privato?
Avevamo il jet privato, chiamato ‘Lisa Marie’. Quel pomeriggio ero a casa sua. Avrei dovuto svegliarlo verso le 16.00 per prepararsi alla partenza. Ma la sua ragazza chiamò attraverso il citofono interno.
Non era Linda. Era una nuova ragazza.
No, era una ragazza che si chiama Ginger Alden. Aveva trovato Elvis svenuto nel bagno. Così corsi su per le scale e andai nel bagno, e lo vidi steso sul pavimento, e….
Era andato in bagno?
Era in bagno a leggere un libro. E questo è ciò che è successo…
Ti ricordi che libro era?
Mi sembra fosse "The Shroud Of Turin" o qualcosa del genere. L’aveva ancora tra le mani. Comunque, girai Elvis e nel momento in cui lo toccai, capii che era morto. Presi il telefono e chiamai un’ambulanza. Salii sull’ambulanza con Elvis, Charlie Hodge e il Dr. Nick. Andammo all’ospedale e venne portato subito nella stanza di emergenza. Noi aspettammo in sala d’attesa.
Ma tu sapevi già che era morto?
Sì. Speravo ci fossero ancora possibilità, ma sapevo che non c’era niente da fare.
Quale fu la tua prima reazione? Elvis aveva 42 anni…
Sai, è stato come se non me ne fossi reso conto da subito. Come se avessi avuto un blocco nell’accettarlo. Ma è stato terribile, davvero terribile. Eravamo molto amici e abbiamo trascorso moltissimo tempo insieme. E lo considero il mio migliore amico. E’ così, quando perdi qualcuno con cui hai trascorso così tanto tempo…ho pensato che la mia vita fosse finita in quel momento. Lisa Marie era in visita a Graceland in quei giorni.

SONNY WEST:
Elvis è stato una parte importante della mia vita e una persona con cui sono stato bene. 
Non ho preso assolutamente bene la notizia della sua morte. Ero distrutto e a pezzi. A parte mio cugino Red e sua moglie Pat, quel giorno non parlai con nessuno, tranne mia moglie. Ho pianto quasi tutto il giorno e la notte. Camminavo per casa, chiedendomi perchè, pensando solo ai bei momenti passati insieme nel corso degli anni. Avevo perduto ogni speranza che si sarebbe rialzato, non sarebbe più successo e io sentivo il vuoto. 

SAM THOMPSON:
Avevo capito che qualcosa non andava per il verso giusto ed ho cercato di dirglielo, ma lui non ha voluto ascoltarmi.
Lui credeva di stare male e che, se aveva una prescrizione medica, le cure avrebbero funzionato. Elvis credeva di aver bisogno delle medicine che prendeva. Penso sia arrivato al punto di pensare di aver bisogno di dosaggi sempre più elevati.  
Questo fu l’inizio della fine.
Il 16 Agosto ero a Graceland, quando il Dr. Nick tornò dal pronto soccorso e disse a Vernon che Elvis era morto.
Lisa corse in camera di sua nonna e chiamò Linda, mia sorella. 

DAVE HEBLER:
Stavo guidando verso casa con un regalo per mia moglie nel giorno del suo compleanno ed ho sentito la notizia alla radio. Ho dovuto fermarmi fuori dalla strada perchè non riuscivo più a vedere a causa delle lacrime.

RICK STANLEY - INTERVISTA CON LARRY KING:
Ero appena tornato. Ero stato con lui la notte precedente. Mi chiamò e mi chiese di andare al piano di sopra e gli portai le sue pillole per dormire. Parlammo per un po' e poi gli augurai la buonanotte. Poi mi chiamò nuovamente, salii di sopra e parlammo ancora. Mi guardò e disse: "Cosa penserà la mia bambina quando leggerà questa roba?" (Elvis si riferiva al libro ‘Elvis What Happened?’). Io gli risposi "Beh, Elvis...non so...".
C'era un libro in quel periodo su di lui?
RICK: Sì signore! Rivelava al pubblico la sua vita privata. Lui era sconvolto per questo. Voleva sapere cosa ne avrebbe pensato Lisa e cosa ne pensavano i fans. Poi parlammo della mia relazione, dei problemi che avevo avuto con la droga e di quanto ho avuto bisogno del Signore. E otto ore dopo, lui era morto.
L'ho saputo quando arrivò David, mio fratello minore. Gli dissi: "David, Joe dice che dobbiamo svegliarlo ad una certa ora, perchè dobbiamo partire per il tour e dobbiamo ancora fare alcune commissioni. Quindi, ad una certa ora, sveglialo". 
Feci le ultime cose che dovevo fare, ero seduto ad un ristorante. Io e Larry avevamo questa brutta sensazione, come se dovesse succedere qualcosa di brutto. Non mi era mai capitato prima. Me ne andai dal ristorante e andai a Graceland. C'era un'ambulanza parcheggiata davanti. La prima cosa che pensai fu: "Sarà per mia nonna, la nonna di Elvis, o forse è accaduto qualcosa a mio padre, Vernon Presley". Ma quando entrai a Graceland mi trovai nel caos...

DAVID STANLEY - INTERVISTA CON LARRY KING:
Ero nella piscina quando Amber, un'amica di Lisa, arrivò e disse: "Elvis ha qualcosa che non va". C'era un mio amico che si chiama Mark White, che conoscevo da anni. Gli dissi che lo dovevo portare via da lì. Non pensavo stesse succedendo nulla di male, non ho pensato al peggio ovviamente. Intendo dire che Elvis era stato male, ma pensare al peggio non è mai stato il mio primo pensiero. Dissi a Mark che dovevo riportarlo a casa. Mentre tornavo indietro, un'ambulanza stava entrando nella via d'ingresso. Seguii l'ambulanza e questa si fermò davanti alla porta di casa. Andai sul retro, e ad un certo punto mi trovai davanti Joe Esposito, Charlie, Vernon e Sandy Miller (amica di Vernon) e altre persone, tutte intorno ad Elvis. Capii che Elvis era morto. 
Sai, il ricordo di ciò che vidi ancora oggi mi tormenta, perchè quando guardai e vidi Elvis Presley steso a terra, morto, non stavo guardando alla star o al re del rock'n'roll, ma guardavo ad un uomo che mi aveva accolto 17 anni prima con un abbraccio e mi dava il benvenuto nella sua vita. Quindi per me fu un tragico giorno. 
Venne portato giù per le scale e venne messo sull'ambulanza. Joe saltò sull'ambulanza e anche il Dr. Nick. Io corsi per la casa. Vidi Billy Smith, che mi chiese: "Che succede?"; gli risposi: "Qualcosa non va ad Elvis...Credo che Elvis sia morto".
Andammo al Baptist Hospital. Arrivammo circa 10 minuti dopo l'ambulanza. Entrammo in una piccola stanza, dove c'erano già alcune persone: Joe, Charlie, e altri. Restammo lì finchè non arrivò il medico che, scuotendo la testa, ci disse: "E' morto".
Fu una strana sensazione. Fu come quando ci fu l'assassinio di Kennedy. E' ironico che io dica questo, visto che sto qui a Dallas, in Texas (dove Kennedy venne ucciso). Come ci si sente ad essere una delle prime persone a sapere una notizia che metterà sotto shock il mondo intero? Fu un giorno tristissimo, un giorno tragico per tutti noi.

CONNIE STEVENS - INTERVISTA CON LARRY KING:
Non ricordo esattamente dov'ero, ma fu catastrofico per me, perchè avevo di lui un ricordo molto tenero. Avrei voluto esserci in quel momento. Pensavo che avrei dovuto esserci...Forse avrei potuto essere d'aiuto.
L'ho saputo come chiunque altro, vedendo le notizie. Forse era destino che accadesse. Sembrava un percorso che lui stava seguendo, andando verso la fine.

MINDI MILLER:
Beh, quando mi è arrivata la telefonata, la sola parola che fu detta dall'altra parte fu: "Mindi..." ed io avevo capito dal tono della voce della persona che Elvis era morto. 
Ho detto: "E' morto, vero?". Ero stordita e sono caduta sul pavimento con il telefono in mano. Non riuscivo a muovermi.
Joe Esposito mi chiamò circa 30 minuti dopo e mi disse di fare in fretta le valigie e andare all'aeroporto a LAX, perchè il "Lisa Marie" stava aspettando per portare persone a Graceland. Poco dopo, mentre stavo ancora facendo le valigie, Joe mi chiamò nuovamente e mi informò che Priscilla  non permetteva a nessuno di salire sull'aereo, se non ai parenti più stretti.
Così una volta arrivati a LAX, l'American Airlines stava facendo scendere le persone dagli aerei per far salire le persone che andavano al funerale a Memphis. Ero talmente sotto shock che non ricordavo nemmeno cosa avevo messo in valigia o qualsiasi altra cosa. Tutto divenne nebuloso per me e non ricordo nemmeno il viaggio in aereo.

SHIRLEY DIEU – INTERVISTA 2014:
Non è qualcosa a cui qualcuno può dare una risposta in un'intervista. Penso che la maggior parte di noi abbia perso una persona cara, e sa quando fa soffrire.
Penso che dire "sorpresa" sia un eufemismo. Devastata è la descrizione più corretta. Piuttosto di spiegarti come mi sono sentita, condividerò con te un estratto del mio libro dal capitolo 24 "Lacrime dal Paradiso":
"Le parole che Joe mi aveva detto in modo disperato erano un'eco dentro la mia testa, il mio cuore batteva forte e sentivo il dolore di un cuore spezzato, un dolore che non avevo mai sentito prima. Volevo dire qualcosa a Joe, volevo confortarlo, e volevo che Joe confortasse me. Non riuscivo a parlare. Non sapevo cosa dire. Era come se il mondo avesse smesso di girare. Mi sono adagiata nella mia camera, una stanza che sentivo vuota, una stanza che faceva eco al silenzio". Me lo aspettavo? No, era qualcosa che non avrei mai potuto immaginare.

BILLY STANLEY - FACEBOOK 2020:
43 anni fa oggi, è iniziato come qualsiasi altro giorno. Mi sono alzato e sono andato al lavoro.
Avevo già progettato di uscire presto dal lavoro per aiutare Rick e David a fare i bagagli per il tour. Ero entusiasta all'idea di aiutare e non vedevo l'ora di vedere loro ed Elvis.
Mentre lavoravo, continuavo a pensare all'ultima conversazione avuta con Elvis il giorno 14. Avevo avuto tempo per riflettere su quello che mi aveva detto ed avevo deciso di dirgli: "Se avrai bisogno di me, io ci sarò".
Quando sono uscito dal lavoro, mi sono messo a guidare verso Graceland. Avevo lo stereo acceso e mi stavo divertendo. Faceva davvero caldo quel giorno, così mi sono fermato in un negozio a comprare una Coca Cola. Quando sono entrato nel negozio, ho salutato il commesso.
Quando sono tornato, per pagare la Coca Cola, ho notato la radio che suonava in sottofondo. Improvvisamente arrivò una notizia.
Le uniche parole che ho sentito sono state: "Elvis è morto nella sua casa a Memphis".
Il tempo si è fermato. Il commesso mi stava scuotendo, urlando: "Billy! Billy!".
Lentamente sono tornato alla realtà. Sono uscito. Il sole sembrava ancora più caldo adesso. Mi sono incamminato verso l'auto e, mentre stavo salendo, ho notato una cabina telefonica.
Sono uscito dall'auto e mi sono diretto alla cabina. Ho chiamato a Graceland.
Una donna ha risposto. Non riesco a dire chi fosse...
Tutto quello che sono riuscito a dire è stato: "Sono Billy, è vero quello che ho sentito alla radio???".
La donna stava piangendo e mi disse: "Sì, devi venire subito qui più velocemente che puoi".
Ho riattaccato il telefono e mi sono diretto verso la mia macchina.
Mentre aprivo la portiera, sono caduto sulle ginocchia ed ho guardato verso il cielo, ed ho detto: "Perché Dio, perché??" ed ho iniziato a piangere.
Poi sono salito in auto e sono andato a Graceland. C'era una grande folla di gente quando sono arrivato.
La polizia ha spostato le persone per farmi passare. Ho visto Rick e David fermi fuori dalla casa. Mi sono diretto verso di loro.
Ci siamo abbracciati e poi abbiamo iniziato a piangere.
Questa è stata la mia giornata, 42 anni fa.

KATHY WESTMORELAND:
Stava piovendo a Los Angeles quando ho preso l'aereo navetta di Elvis Presley per unirmi al suo nuovo concerto.
C'erano circa una decina di musicisti e due componenti del gruppo di cantanti "Sweet Inspirations", quando sono arrivata. E, come al solito, dovevamo fermarci ancora una volta a Las Vegas per far salire altri membri della band prima di dirigerci a Portland, nel Maine, per unirci al resto della troupe.
Le persone che ricordo a bordo della Holiday Airline Electrojet quel giorno erano Marty Harrell, suonatore di trombone basso; Pat Houston, suonatore di tromba; Myrna Smith ed Estelle Brown del gruppo "Sweet Inspirations"; James Burton, Jerry Scheff, Ronnie Tutt, Glen D. Hardin, tutti i musicisti; e Jacky Kahane, un comico. A bordo c'erano anche due uomini dell'ufficio del Colonnello Parker . Penso fossero Tom Diskin e Ed Bonja.
Gran parte dell'eccitazione di essere nuovamente in tour se n'era andata. Dopotutto, cantavo con Elvis da sette anni e avevamo viaggiato migliaia e migliaia di miglia, da una parte all'altra del Paese, centinaia di volte. Ma è sempre stato bello vedere il vecchio gruppo. Non c'è dubbio su questo; eravamo tutti veterani dei tours di Elvis Presley e ne avevamo passate tante insieme.
Dato che tutti sapevano che avevo uno stretto rapporto con Elvis e lui mi telefonava ogni volta che l'umore lo assaliva, notte o giorno, era comprensibile che qualcuno a bordo dell'aereo mi chiedesse: "Come sta Elvis?".
Tutti sapevano che era malato, che ogni esibizione pubblica lo portava allo sfinimento. Non volevo dire molto, non volevo allarmare nessuno, ma ero davvero sorpresa del fatto che stessimo andando a fare un concerto anche a Portland, nel Maine.
A causa del peggioramento della salute di Elvis e del modo in cui mi aveva parlato l'ultima volta che eravamo stati insieme circa un mese prima, pensavo che i giorni dei tours di Elvis fossero finiti.
Non me lo ricordo adesso, ma mia sorella ha detto che le avevo detto la sera prima: "Non stupirti se torno a casa tra un giorno".
"Perché?" chiese lei.
"Perché io non credo che accadrà mai, non per come si sta sentendo Elvis" le ho detto.
Tuttavia, Elvis aveva detto che avremmo fatto un concerto a Portland ed è quello che ci eravamo proposti di fare. L'aereo continuava a ronzare e, siccome mi ero alzata prestissimo, mi sono raggomitolata sul sedile e mi sono messa a dormire.
La cosa successiva che ricordo è che mi sono svegliata ed ho scoperto che stavamo atterrando. Non potevo credere che fossimo già arrivati ​​a Portland. Ed infatti non eravamo arrivati.
"Al pilota è stato detto di atterrare a Pueblo, in Colorado, in modo da poter chiamare per ulteriori direttive" mi disse qualcuno più tardi, ma ero addormentata ed erano state solamente le ruote dell'aereo che toccavano il suolo a svegliarmi.
Abbiamo fatto un atterraggio brusco con un forte vento e tutti erano scesi dall'aereo per prendere un po' d'aria fresca e fare stretching.
Marty Harrell era andato a chiamare Memphis, ma non si sapeva niente. Se mi avessero detto che avevamo l'ordine di chiamare Memphis, avrei capito subito che si trattava di qualcosa di preoccupante.
Abbiamo passeggiato tutti vicino all'aereo, in attesa di notizie sul motivo del ritardo. È successo tutto così in fretta, che non ho avuto il tempo, ed ero ancora troppo assonnata, per fare un qualsiasi pensiero razionale. Marty uscì dal terminal dell'aeroporto e salì i gradini dell'aereo.
"Venite tutti qui, ho qualcosa da dirvi. Elvis è morto questa mattina . Dobbiamo tornare subito a Las Vegas ed a Los Angeles" ha detto.
E' stata una semplice affermazione che ha provocato pianti da parte di alcuni ed incredulità da parte di altri. Mi sono sentita intorpidita ed, improvvisamente, terribilmente svuotata.
Dopo tutti quegli anni insieme, Elvis se n'era andato dalla mia vita e, sebbene sapessi da mesi che la fine era vicina, è stato comunque uno shock sentire che, alla fine, era successo.
I miei sentimenti erano contrastanti: sollievo per Elvis, perché non avrebbe più sofferto; ma anche il mio senso di perdita che andava ben oltre le lacrime.
In effetti, ci sono voluti anni prima che potessi davvero piangere per il dolore più grande della mia vita. Il mio amico, il mio divertente e imprevedibile Elvis era morto.
Ancora adesso è difficile da realizzare.

JAMES BURTON - FACEBOOK 2020:
È difficilissimo credere che siano già passati 43 anni da quando abbiamo sepolto il mio amico Elvis. Che tre giorni strazianti abbiamo avuto quell'Agosto del 1977!
Non dimenticherò mai la partenza in aereo da L.A. verso Las Vegas quella mattina del 16 Agosto e poi ci siamo diretti da Las Vegas verso il nostro primo spettacolo nel Maine, quando ci è stato detto di tornare indietro. Nessuno di noi sapeva il perché.
Ci siamo fermati per fare rifornimento in Colorado per tornare a Las Vegas, quando abbiamo saputo della morte di Elvis.
La mia prima domanda è stata: "È uno scherzo?".
Purtroppo...non lo era.
Mia moglie Louise ed io ci siamo incontrati a Memphis immediatamente per andare a Graceland, a vedere come stava il papà di Elvis, Vernon. Come potete immaginare, era totalmente devastato.
Il 18 Agosto è stato fatto un servizio funebre in forma privata per la famiglia e gli amici intimi.
Riuscivamo a fatica a parlare l'uno con l'altro per quanto eravamo sotto shock.
Sono arrivate molte persone che gli volevano bene.
James Brown ha trascorso ore lì con Elvis, come hanno fatto molti altri.
Louise ed io siamo rimasti seduti con Vernon ed abbiamo fatto del nostro meglio per confortarlo.
Noi amavamo quell'uomo.
Migliaia di fans si sono riversati sulle strade di Memphis il giorno del funerale per dire addio al re. Migliaia! Non abbiamo mai visto una cosa simile, mai.
La regalità non ha mai visto una cosa del genere.
Siamo stati onorati di sedere nella terza o quarta limousine bianca durante la processione di quel giorno ed eravamo sbalorditi da tutto l'amore che la gente dimostrava e da come le persone si sono riunite nell'arco di così poco tempo per rendergli omaggio da tutto il mondo.
Elvis costantemente donava alle persone vicine a lui e questo è stato di grande ispirazione.
Sì, era una leggenda...ma era anche il mio amico.
Il suo talento, stile, senso dell'umorismo e le sue telefonate "nel cuore della notte" solo per parlare.
Si sente moltissimo la sua mancanza ed io so che è in Paradiso a suonare e cantare insieme a mio figlio Jeffrey...e non vedo l'ora di rivederli entrambi un giorno e di fare ancora jam insieme.
Vogliamo ringraziare i fan clubs ed i siti web, Priscilla, Lisa Marie, Jack Soden, Graceland, la famiglia della Elvis Presley Enterprises e Joel Weinshanker per tutto il lavoro che fanno nel mantenere viva l'eredità di Elvis e noi vogliamo bene ai fans ed agli amici che hanno amato Elvis come l'abbiamo amato noi.
Date valore ad ogni giorno e vogliatevi bene.
DIO VI BENEDICA.

MINDI MILLER - FACEBOOK 2020:
43 anni, 18/8/1977, fa ti ho baciato la fronte e ti ho mandato a casa con un minuscolo libro di preghiere nascosto sotto la tua bellissima giacca bianca. Ho guardato il tuo viso e ho ricordato tutte le cose meravigliose che hai fatto per me, e la gentilezza che hai mostrato, e la premura e l'amore che hai dimostrato non solo nei miei confronti, ma verso il mondo intero.
Sono stata una dei pochi fortunati che ti ha conosciuto. Ti penso ogni giorno e ti porto nel mio cuore con la massima stima possibile per qualsiasi essere umano. Ti amo più di quanto tu possa mai sapere e così fa il resto del mondo. Quindi oggi pensiamo a te in modo speciale "E", e ti ricordiamo più che mai, anche se hai pensato così tante volte che non sarebbe stato possibile. Ti amo oltre misura e lo farò sempre.

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